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Nella narrazione dei fatti che hanno accompagnato questi oltre 4
anni di Superbonus esistono alcuni accadimenti chiave sui quali si
è sempre ragionato molto poco e soprattutto senza alcuna logica
migliorativa.

Superbonus e opzioni alternative: un binomio indissolubile

Benché sia chiaro che la generosa aliquota fiscale (110%)
prevista per il superbonus sia stata fondamentale per i numeri
generati da questa agevolazione, è altrettanto evidente che senza
il meccanismo delle opzioni alternative (sconto in fattura e
cessione del credito) avrebbero potuto accedere a questa misura
solo i soggetti con contemporanea capacità di spesa e capienza
fiscale.

Sconto in fattura e cessione del credito sono stati, dunque, lo
strumento di perequazione sociale che ha consentito a tutti di
riqualificare energeticamente e strutturalmente il proprio
immobile.

Quello delle opzioni alternative è stato (come il superbonus)
uno strumento non esente da problemi e criticità che si sono
palesati ad un anno dall’entrata in vigore della legge di
conversione del Decreto Rilancio. Problematiche che hanno condotto
verso decisioni che stanno alla base della “tempesta perfetta” che
si è generata nel comparto dell’edilizia.

Dal D.L.
n.4/2022
(Decreto Sostegni-ter), convertito con modificazioni
dalla Legge n.
25/2022
, si è avviato un percorso di involuzione normativa sul
quale sono arrivate le scelte finali del Governo in carica di
bloccare completamente la cessione e la circolazione dei crediti
edilizi.

Stop alle opzioni alternative: perché?

Sono diversi i motivi che nel corso del tempo sono stati
sollevati da coloro i quali erano contro i crediti fiscali
trasferibili nel settore edilizio. Accanto:

  • al problema delle truffe (che possono essere contrastate
    predisponendo adeguati controlli prima e dopo l’assegnazione dei
    crediti fiscali);
  • al paventato buco enorme dei conti pubblici (che fino ad ora
    non esiste ma che potrebbe profilarsi nel futuro a causa delle
    difficoltà e poi del divieto di cessione dei crediti fiscali);
  • al presunto utilizzo delle detrazioni fiscali da parte dei
    “ricchi” (che possono essere superate privilegiando le periferie,
    le aree svantaggiate, le zone sismiche, ecc.);

sono emerse altre motivazioni per bloccare la cessione dei
crediti fiscali. Di seguito proveremo a definirne qualcuna.

1. Importanti economisti – come Veronica De Romanis – hanno
sostenuto che non è ammissibile che gli sconti fiscali trasferibili
siano emessi secondo la volontà dei cittadini e non in quantità
prefissate dallo Stato.

Obiezione che definisco incredibile perché i crediti fiscali
sono generati e depositati nei cassetti fiscali dell’Agenzia delle
Entrate. È il Fisco la “banca di emissione” dei crediti fiscali.
Per evitare un’emissione di crediti fiscali incontrollata, i
Governi che si sono susseguiti (soprattutto quelli che hanno
contestato l’enorme spesa) avrebbero potuto facilmente mettere un
tetto alle emissioni, stabilendo un quantitativo annuale di crediti
fiscali trasferibili da emettere ogni anno.

2. Altri – a partire da Mario Draghi e Daniele Franco – hanno
sostenuto che la cedibilità andasse fermata perché nel giro erano
entrate finanziarie che riciclavano fondi di oscura provenienza in
un mercato non regolamentato. Dunque, le finanziarie compravano il
credito a sconto dal condominio e pagavano le imprese che facevano
i lavori esattamente come avveniva per le banche.

Anche questa motivazione lascia sbalorditi. Applicando questo
criterio, si dovrebbe bloccare la compravendita di tutti i titoli
di Stato: i crediti fiscali sono appunto titoli emessi dallo Stato,
al pari dei titoli del debito pubblico, con la differenza che alla
scadenza i crediti fiscali danno il diritto a pagare meno tasse
mentre BOT e BTP vengono rimborsati in euro con un tasso di
interesse. Nessuno si sognerebbe mai di limitare il numero delle
cessioni o di bloccare la compravendita dei titoli del debito
pubblico.

3. In merito alle truffe, il punto decisivo è la veridicità del
credito generato da interventi effettivamente realizzati. Le truffe
si verificano perché i crediti vengono assegnati senza che ci siano
i lavori o in assenza dei requisiti minimi prescritti dalla
normativa.

Esistono già dei controlli tecnici, documentali e fiscali prima
dell’assegnazione del credito. Si sarebbero potuti potenziare o
affidare obbligatoriamente la cessione ad un preventivo audit
documentale da parte di Enti certificatori. In questo modo, una
volta assegnati, i crediti fiscali potrebbero circolare
liberamente.

Scelta tecnica o politica?

Bloccare la circolazione dei crediti fiscali è stata una
decisione antieconomica e anacronistica che nulla ha a che fare con
le truffe, col buco dei conti pubblici e col riciclaggio di denaro
sporco, ma è legata a decisioni di carattere politico.

Il Ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti
nel novembre 2022, poco dopo essersi insediato alla guida del
ministero dell’Economia, intervenendo sulla presentazione della
Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza (Nadef)
dichiarò: “Stiamo attenti, evitiamo di dire che questi crediti
di imposta devono circolare liberamente. Non dobbiamo proprio dirla
questa cosa qua, è meglio per tutti e per lo Stato italiano in
particolare
”.

Questa dichiarazione faceva trasparire un avvertimento
minaccioso svelando il vero motivo dell’attacco alla trasferibilità
dei crediti d’imposta. Secondo diversi commentatori i crediti
d’imposta generati dai bonus edilizi nel momento in cui possono
circolare liberamente nell’economia vengono considerati dalla BCE
come una pericolosa forma di moneta fiscale.

Il Ministro Giorgetti, proseguendo sulle orme di Draghi, si è
scagliato contro la libera circolazione dei crediti fiscali
arrivando ad eliminare il meccanismo dello sconto in fattura
associato alla cessione del credito. Questo intervento non è stato
dettato da imposizioni normative, poiché i crediti fiscali
trasferibili possono funzionare come un mezzo di pagamento ad
accettazione volontaria che non mette in discussione l’euro come
moneta unica a corso legale. I crediti fiscali trasferibili sono
pienamente legittimi all’interno dell’eurozona. Il problema vero è
che con l’emissione dei crediti fiscali trasferibili il nostro
Paese avrebbe potuto recuperare capacità di manovra senza necessità
di chiedere soldi in prestito sui mercati finanziari (non sia
mai!).

Conclusione

Per concludere, è paradossale che nell’era del neoliberismo
fondata sulla liberalizzazione dei movimenti di capitale, il
Governo stia cercando di bloccare la libera circolazione dei
crediti fiscali. Sconti fiscali, detrazioni, crediti d’imposta
esistono da tempo immemorabile, l’innovazione è stata quella di
metterli in movimento facendoli circolare senza limiti per creare
immediatamente nuovo potere d’acquisto.

Le categorie produttive – in primis il settore edilizio e quello
industriale, dove si potrebbero rendere trasferibili gli incentivi
fiscali del Piano Industria 5.0 – dovrebbero fare pressione sul
Governo per rilanciare uno strumento che in questa fase di ristagno
economico, alti tassi di interesse e inflazione elevata, sarebbe di
grande aiuto per la nostra economia.



 

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