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Zes agevolazioni
   


Dal 2024 il credito di imposta per il Mezzogiorno si è trasformato in una nuova misura per la Zes unica. Riguarda sempre gli investimenti effettuati nelle otto regioni meridionali, ma sono cambiati criteri e modalità di accesso e fruizione. Sarà efficace?

Come funzionava il vecchio credito di imposta

La letteratura sulla valutazione delle agevolazioni alle imprese è sull’esperienza italiana sostanzialmente unanime nel riconoscere la loro modesta capacità di favorire volumi di investimenti maggiori rispetto a quelli che le imprese avrebbero realizzato anche in loro assenza. Queste misure tenderebbero a produrre perlopiù effetti di sostituzione intertemporale, ma non di addizionalità degli investimenti. 

Solo per i crediti di imposta automatici alcune analisi empiriche evidenziano effetti positivi nel promuovere l’accumulazione di capitale e l’ammodernamento dei processi produttivi nelle aree in ritardo di sviluppo.

In particolare, l’Ufficio parlamentare di bilancio e la Banca d’Italia concordano nel sottolineare un’apprezzabile efficacia del credito d’imposta per il Mezzogiorno nello stimolare investimenti in beni materiali in grado di incrementare le immobilizzazioni. La Banca d’Italia rileva effetti positivi indiretti anche in termini di occupazione, redditività e accesso al credito.

Il credito di imposta per il Mezzogiorno è stato introdotto, nella sua forma definitiva, nel 2017 e riguarda gli investimenti lordi in beni strumentali destinati a strutture produttive ubicate nelle otto regioni meridionali.

Di fatto, qualsiasi nuovo investimento è eleggibile ai fini del credito, indipendentemente dalla circostanza che l’impresa presenti o meno un incremento nel valore delle immobilizzazioni nette. Questa impostazione, tesa ad ampliare l’accesso alla misura, lascia intendere una visione del credito d’imposta finalizzata non solo a stimolare investimenti addizionali, ma anche a fungere da compensazione per gli svantaggi competitivi che caratterizzano le imprese meridionali.

La misura è stata di volta in volta prorogata sino al 2023, lasciando inalterata la sua configurazione.

Lo schema di accesso all’agevolazione prevedeva una comunicazione all’Agenzia delle entrate a cui seguiva, dopo i controlli, l’autorizzazione alla fruizione del credito. Si trattava di uno schema automatico, senza alcun “rubinetto” legato al superamento di tetti di spesa.

Cosa cambia con la Zes unica

Dal 2024 questa misura ha assunto la denominazione di “credito d’imposta per investimenti nella Zes unica”, subendo sostanziali modifiche nelle modalità di funzionamento.

Innanzitutto, il limite massimo degli investimenti che possono accedere all’agevolazione è stato innalzato da 15 a 100 milioni di euro per tutto il Mezzogiorno, mentre non sono più agevolabili i progetti di investimento di importo inferiore a 200 mila euro.

Il credito d’imposta è stato poi “plafonato”, dal momento che è previsto un limite di spesa di 1.800 milioni di euro per l’anno 2024. Questo comporta che, qualora le richieste complessive superino il plafond, l’ammontare degli investimenti per i quali le imprese possono fruire del credito sarà pari a una percentuale di quanto originariamente comunicato all’Agenzia delle entrate. La percentuale sarà nota alle imprese solo dopo il termine di scadenza per la presentazione delle istanze.

L’introduzione delle modifiche deriva presumibilmente dall’esperienza del Superbonusedilizio e dai nuovi scenari della finanza pubblica, che hanno fatto propendere per soluzioni tese a preservare la sostenibilità finanziaria della misura, cercando di evitare i problemi che per loro natura pongono i crediti di imposta: generare un costo fiscale non esattamente prevedibile e controllabile dall’amministrazione finanziaria a causa della natura automatica dell’erogazione.

La tabella 1, riferita al credito d’imposta per il Mezzogiorno, riporta il raffronto fra gli oneri quantificati (ex ante) dalle norme che hanno introdotto o prorogato la misura e la spesa fiscale effettivamente sostenuta. Si evince come le iniziali valutazioni di riduzione del gettito risultino sistematicamente sottostimate rispetto al credito di imposta effettivamente utilizzato dalle imprese.

Le conseguenze per le imprese

Sia pur motivato da esigenze di finanza pubblica, il venir meno del carattere automatico potrebbe non essere neutrale ai fini dell’efficacia della misura.

Con le nuove regole, difatti, dal 12 giugno al 12 luglio 2024, le imprese sono tenute a comunicare all’Agenzia delle entrate l’ammontare delle spese ammissibili sostenute dal 1° gennaio 2024 e quelle che prevedono di sostenere fino al 15 novembre 2024. Ne consegue che per tutti gli investimenti già sostenuti al 12 luglio, l’agevolazione, qualunque sia la sua intensità, rischia di rappresentare quello che in letteratura viene definito un “guadagno portato dal vento”.

Per gli investimenti ancora da effettuare, invece, l’effettiva quota di investimenti eleggibile ai fini della fruizione del credito d’imposta, non conosciuta al momento della domanda, può assumere un rilievo determinante.

In questi casi, difatti, la realizzazione dell’investimento dipende dal superamento di una soglia minima di redditività attesa; variazioni anche modeste dell’ammontare dell’agevolazione rischiano di farla scendere sotto la soglia, con conseguente rinuncia all’investimento. 

Anche l’introduzione di una soglia minima per accedere al credito d’imposta è legata al nuovo scenario di risorse contingentate, dal momento che, nel 2020, le microimprese assorbivano il 23,7 per cento dei benefici dell’agevolazione. E appare coerente con la scelta operata con la nuova Zes unica, tesa a privilegiare nuovi insediamenti e investimenti di grandi dimensioni nelle filiere strategiche del Mezzogiorno, come dimostra l’innalzamento del limite massimo a 100 milioni di euro.

Tuttavia, in quest’ottica, sarebbe stato probabilmente più efficace evitare alee sull’intensità dell’agevolazione e commisurare il credito di imposta al valore degli investimenti netti, cioè eccedente gli ammortamenti dedotti nel periodo d’imposta. Tale impostazione consentirebbe di favorire le imprese che effettivamente contribuiscono ad aumentare lo stock di capitale privato del Mezzogiorno, oltre che una maggiore efficacia della misura a stimolare investimenti addizionali. L’efficacia potrebbe essere migliorata anche passando dalla sua consueta proroga annuale a una continuità pluriennale più coerente con l’orizzonte decisionale delle imprese. Anche la previsione di circoscrivere a 4 mesi (15 luglio-15 novembre) l’arco temporale in cui poter sostenere gli investimenti rischia di rendere il credito meno incisivo nel favorire la realizzazione di progetti complessi e di importi elevati.

* Le idee e le opinioni espresse in questo articolo sono da attribuire all’autore e non investono la responsabilità dell’istituzione di appartenenza.

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Ferdinando Ferrara

Consigliere della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Dottorato di ricerca in economia e politiche per lo sviluppo presso l’Università Federico II di Napoli. E’ stato Capo del Dipartimento per la programmazione economica e, dal 2018 al 2022, Capo del Dipartimento per le politiche di coesione della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

 

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