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ROMA Una Capitale con i poteri di una Regione. Sulla carta, in grado di legiferare in tutti gli ambiti che scandiscono la vita quotidiana di un cittadino. Istruzione e infrastrutture, comunicazione e trasporti, finanza pubblica. Questa volta Giorgia Meloni fa sul serio. E ha iniziato a mettere testa alla partita politica per la sua città, con lo sguardo già puntato al 2026, all’elezione che segnerà una grande occasione per il suo partito: sfilare Roma al centrosinistra, tornare a governare al Campidoglio.

Roma, sui poteri speciali l’asse Meloni-Gualtieri: dall’energia ai trasporti, la Capitale sarà come una Regione

IL TESTO

Nelle stanze degli uffici legislativi a Palazzo Chigi è atterrata una bozza del disegno di legge per affidare poteri speciali a Roma che Il Messaggero è in grado di anticipare. È la grande promessa della destra che oggi comanda al governo e vuole mettere mano a un’anomalia tutta italiana. Dare alla Città eterna le funzioni e i poteri, legislativi e amministrativi, che finalmente la pongano sullo stesso piano delle grandi metropoli europee e la trasformino, di fatto, nella ventunesima regione. La missione, si legge nella bozza di testo, è riconoscere a Roma «condizioni peculiari di autonomia normativa, amministrativa e finanziaria». E assicurare con una legge ordinaria «le risorse necessarie al finanziamento delle funzioni pubbliche attribuite, nel rispetto dell’equilibrio di bilancio». C’è nell’incipit il vero nodo da sciogliere: trovare i fondi per sostenere il grande salto di una città che negli anni ha visto trasmigrare altrove, specie verso i grandi centri del Nord, imprese, istituzioni, competenze. Senza risorse, la scatola rimane vuota.

LE RIUNIONI

Per questo un mese fa, come anticipato da questo giornale, si è seduto anche il titolare del Mef Giancarlo Giorgetti al ristretto vertice di governo convocato da Meloni insieme ai ministri Tajani, Calderoli e Casellati. Servito a mettere in moto la macchina, sotto la supervisione della premier. Nella bozza limata a Palazzo Chigi viene riconosciuta a Roma la possibilità di legiferare «in deroga alla normativa della Regione Lazio» in tutte le materie concorrenti dell’articolo 117 della Carta. Tranne sei: «i rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni», la «tutela della salute», le casse di risparmio e le casse rurali, le «aziende di credito a carattere regionale e gli enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale».

Impossibile affidare tout-court, al Campidoglio, materie così delicate e per questo resteranno sotto l’egida della Pisana, alla Regione Lazio di Francesco Rocca che ha già avuto contatti sulla riforma con Meloni. Ma c’è un’altra novità di peso assente nelle bozze depositate in Parlamento, per il centrodestra spicca quella firmata dal capogruppo azzurro alla Camera Paolo Barelli: l’autonomia finanziaria dei municipi. In altre parole, spiegano fonti di governo, le ex circoscrizioni potranno redarre bilanci autonomi e non più derivati da quelli del Comune. Sui dettagli ci sarà ancora da limare, probabile che il via libera alla riforma non arrivi prima della fine dell’estate.

Ma la partita è anzitutto politica. Acceso un semaforo verde per l’autonomia differenziata leghista, Meloni ha chiesto ai suoi di lavorare alla legge per Roma. La regia del dossier, nel partito, è nelle mani dei parlamentari romani più vicini alla leader. Non c’è fretta, spiegano dal cerchio della premier. Il timore è che una riforma approvata in tempi troppo stretti lanci l’assist al sindaco dem Roberto Gualtieri, gli assegni i poteri di una super-Capitale proprio a ridosso del voto che lo vede come papabile ri-candidato del centrosinistra. Non vuole neanche tergiversare però la presidente del Consiglio che davanti ai fedelissimi rivendica la sua storia romana e pertanto chiede impegno su una riforma-bandiera della destra italiana. Sembrava fatta, a dire il vero, per un primo approdo in Consiglio dei ministri alla vigilia delle Europee. Lo stesso Calderoli, ministro leghista e “papà” del federalismo fiscale, aveva redatto una bozza. Fin troppo tranchant, e qui c’è il paradosso: prevedeva infatti di assegnare subito a Roma i poteri di una Regione, senza passaggi intermedi.

Poi la frenata, i dubbi che hanno iniziato a montare a Palazzo Chigi, nei confronti tra la ministra azzurra alle riforme Casellati e il consigliere giuridico di Meloni Francesco Saverio Marini. E la decisione di prevedere una legge ordinaria che dovrà spiegare nel dettaglio quali competenze e soprattutto quali risorse consegnare in mano al sindaco di Roma, per non incorrere in una bocciatura della Consulta. Accortezze che, la premier è stata perentoria, non dovranno fermare il cammino della riforma per la Capitale-Regione. Basta e avanza per trasformare le urne romane del 2026 in un match politico tutt’altro che locale.

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