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Da una parte la Lega festeggia il primo passaggio al Senato della riforma. Dall’altra Giorgia Meloni accentra le decisioni economiche sul Sud con la Zes Unica. Così l’Esecutivo dimostra di giocare due partite diverse

Dal 1° gennaio 2024 è stata istituita la Zona Economica Speciale Unica (Zes Unica) per il Mezzogiorno in sostituzione delle otto Zes territoriali relative ad Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia e Sardegna. Una struttura di missione è stata accentrata presso la presidenza del Consiglio, presidiata dal plenipotenziario ministro Raffaele Fitto, che dovrà predisporre il piano strategico triennale. Il passaggio alla Zes unica dalle 8 Zes locali, tuttavia, ha manifestato ritardi e intoppi. Non avverrà più, infatti, il 1° gennaio 2024, ma entro il 31 marzo. Fino ad allora rimarranno operative le vecchie strutture.

 

A prima vista resta difficile capire la ratio che ha indotto il governo a sconvolgere un’organizzazione amministrativa come le Zes locali, costituite nel 2017, che nel giugno del 2022 hanno iniziato l’operatività con la nomina dei commissari e l’istituzione dello sportello unico. Nel giro di meno di due anni avevano già conseguito importanti risultati in Campania, con la soluzione della crisi del “sito Whirlpool” di Napoli e in Calabria con la realizzazione di importanti infrastrutture.

 

Tale sconvolgimento, che con la modifica delle norme sul rilascio delle autorizzazioni amministrative aveva trovato una soluzione, rischia di mettere in crisi gli investimenti nel Mezzogiorno. Una modifica negativa sottolineata con forza in un incontro con il ministro Fitto dai commissari delle Zes della Campania e della Calabria.

 

La Zes unica ha un fondo di 1,8 miliardi per il 2024, nonostante all’art. 16 della legge istitutiva sia stato stabilito che, dal 2024 al 2026, alle imprese che effettueranno investimenti in beni strumentali destinati a strutture produttive verrà concesso un contributo in crediti di imposta. I bonus fiscali della Zes unica, come la riforma fiscale e il taglio del cuneo contributivo, hanno, non casualmente, scadenza a fine 2024. È inutile brandire le agevolazioni fiscali quando i bonus per investimenti si spengono sul nascere per carenza di programmazione pluriennale delle risorse finanziarie. La parola programmare non fa parte, purtroppo, da molti anni del lessico dei governi italiani.

 

La Zes unica concentra le decisioni (potere) nelle mani della presidenza del Consiglio. Propone una sorta di “Cassa del Mezzogiorno”, mettendo in evidenza una contraddizione interna tra i partiti della coalizione nell’azione del governo. Per un verso, infatti, il vicepresidente Matteo Salvini quando si trova nel Meridione dichiara con risolutezza che «il centralismo è fallito e che bisogna puntare sull’Autonomia differenziata». Per un altro, invece, la presidente del Consiglio, con pazienza certosina e grande determinazione, smonta sul nascere ogni tentativo, come nel caso delle Zes locali, di sostenere la proposta leghista dell’Autonomia differenziata.

 

Il tentativo di contribuire a riequilibrare il divario tra il Nord e il Sud con le Zes locali, che nel 2023 registra una crescita del Pil dello 0,4% nel Sud e dell’0,8% nel Nord (Svimez), è stato, dunque, sacrificato senza colpo ferire, nonostante l’asfissiante declamazione dell’Autonomia differenziata da parte del vicepresidente Salvini. Questa manifesta contraddizione rivela l’accrocco che tiene unito il governo. La gestione del potere è il reale collante politico che unisce le diverse destre al governo.

 

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