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Dopo dieci anni, finisce l’esperienza da presidente della Regione Emilia-Romagna per Stefano Bonaccini: il governatore dimissionario, nel fine settimana di elezioni europee, ha incassato 390mila preferenze da capolista per il Partito Democratico nella circoscrizione del Nord orientale. Risulta il secondo esponente dem più votato dopo il sindaco di Bari e presidente dell’Anci Antonio Decaro, che ha accumulato quasi mezzo milione di preferenze.

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La carriera politica di Bonaccini

Bonaccini è nato a Campogalliano, un piccolo Comune in provincia di Modena, nel 1967. Cresciuto nell’Emilia rossa cantata dai CCCP e dagli Offlaga Disco Pax, dove “il Partito Comunista prendeva il 74% e la Democrazia Cristiana il 6%”, Bonaccini si iscrive nel circolo del Pci di Campogalliano a vent’anni, seguendo le orme dei genitori, un camionista e un’operaia tessile. Dopo aver ricoperto vari ruoli nelle organizzazioni giovanili del Partito Democratico della Sinistra e dei Democratici di sinistra, diventa assessore nel Comune di Modena dal 1999 al 2010 e assessore della Regione Emilia-Romagna dal 2010 al 2014. Nelle elezioni anticipate del 2014 si candida come presidente della Regione, vincendo prima le primarie interne al Pd contro Roberto Balzani, ex sindaco di Forlì, e poi le elezioni contro Alan Fabbri (centro destra) e Giulia Gibertoni (Movimento 5 Stelle).

All’inizio del 2020 vince le elezioni per il secondo mandato da presidente di Regione contro Lucia Borgonzoni, candidata del centro destra. Un risultato per nulla scontato anche nella ‘rossa’ Emilia-Romagna, visto che proprio in quegli anni il panorama politico nazionale e internazionale era caratterizzato da un significativo rafforzamento delle destre sovraniste e populiste: solo pochi mesi prima, la Lega di Matteo Salvini era stato in assoluto il partito più votato in Italia alle elezioni europee del 2019 con il 34,3% dei voti. Per diversi osservatori, la battuta d’arresto di Lucia Borgonzoni ha segnato l’inizio della fine dell’espansione della Lega, che dopo cinque anni è diventato il terzo partito di destra e centro destra dopo Fratelli d’Italia e Forza Italia.

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Parallelamente alla carriera istituzionale, anno dopo anno Bonaccini ha scalato le gerarchie anche all’interno del Partito Democratico, di cui fa parte dal 2007, anno della sua fondazione. Prima segretario provinciale di Modena, nel 2010 diventa segretario regionale del partito seguendo la linea di Pier Luigi Bersani. Nonostante il peso crescente in seno al Pd, Bonaccini non sarà mai ufficialmente parte delle correnti interne al Nazareno. Appoggia Matteo Renzi alle primarie del 2013 e dopo la vittoria dell’allora sindaco di Firenze diventerà responsabile degli enti locali nella segreteria nazionale del Partito Democratico. Dal 2015 al 2021 è inoltre presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome.

Nel 2022 Bonaccini si candida come nuovo segretario del Partito Democratico: a sfidarlo c’è Elly Schlein, sua numero due alla presidenza della Regione Emilia-Romagna. Nonostante l’appoggio di molti ‘big’ di partito e di molte correnti, alle primarie del febbraio del 2023 Bonaccini viene sconfitto a sorpresa. Schlein, subito dopo le elezioni, lo propone come nuovo presidente del partito. Il 12 marzo, alla prima Assemblea nazionale convocata da Schlein, Bonaccini viene votato come nuovo presidente del Pd.

Il futuro della Regione

A viale Aldo Moro si chiude un’epoca iniziata dieci anni fa. Da quando lo scorso 20 aprile Bonaccini ha annunciato la sua candidatura alle europee, è risultato chiaro che il suo mandato si sarebbe chiuso anticipatamente. Il toto successore, però, si era già scatenato prima: Michele De Pascale, sindaco di Ravenna, sembra il profilo più spendibile per il post Bonaccini: sostenitore del governatore nelle primarie perse con Schlein, oltre al doppio mandato da sindaco del Comune romagnolo è anche presidente dell’Upi (Unione delle province d’Italia); il Resto del Carlino lo definisce gradito ai 5 Stelle ma anche a imprenditori e moderati.

In una nota di un mesetto fa, De Pascale aveva scritto una nota in cui ribadiva l’importanza strategica dei territori, nell’ottica di un “rapporto strategico fra il suo capoluogo Bologna e tutti i territori, con pieno coinvolgimento sia della Romagna che dell’Emilia. Le esperienze di governo di molte città, insieme, hanno la credibilità per chiedere a tutta la società regionale di dare un contributo di pensiero e proposta, andando ben oltre gli schieramenti. Il riformismo di questa terra non è un’etichetta da mettere su una corrente – scriveva ancora il sindaco di Ravenna –, ma è la capacità continua di leggere i problemi delle persone e delle imprese, e proporre sempre nuove soluzioni allo stesso tempo radicali e concrete, sia che si parli di garantire una sanità e un welfare di qualità per tutti, di rilanciare sulla sicurezza del territorio dopo l’alluvione o di tenere insieme transizione ecologica, competitività e diritti del lavoro”. Un discorso da chi corre per la maglia rosa, anche se la fuga non è scontata come sembra.

Nelle stanze di viale Aldo Moro si pensa al post Bonaccini già da mesi: gli assessori Vincenzo Colla, Raffaele Donini e Irene Priolo hanno accarezzato l’idea di una candidatura, facendo un passo avanti proprio come fece Bonaccini quando presidente era Vasco Errani. C’è poi, anche, la possibilità di dover scendere a patti con una lista che funga da gregaria al Pd, come accadde con l’Emilia-Romagna coraggiosa, ecologista e progressista di Elly Schlein nel 2019: stavolta la candidata al ruolo potrebbe essere Emily Clancy, che però ha già detto di voler terminare il mandato come vicesindaca al Comune di Bologna quando Alleanza Verdi e Sinistra le aveva chiesto di correre per le europee. 

 

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