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TRATTO DA: ILDIRITTOAMMINISTRATIVO.IT

Autrice: Cinzia Chirieleison*

Nota a Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 24 aprile 2024, sent. n. 7

Regolarità fiscale e continuità dei requisiti di partecipazione

Abstract

Il presente contributo analizza la sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 7/2024, che fornisce importanti indicazioni in merito alla necessaria continuità del possesso dei requisiti di partecipazione alla gara, per tutta la durata della stessa, posto che sebbene non sussista una norma specifica che imponga all’operatore economico di comunicare la perdita di uno dei requisiti di partecipazione, lo stesso è comunque tenuto a farlo in ossequio ai principi di collaborazione e di buona fede cui, in ossequio all’art 1, comma 2-bis, della L.n. 241/1990, devono essere ispirati i rapporti tra cittadino e Amministrazione.

Allo stesso modo, la Stazione Appaltante ha l’obbligo di verificare che i requisiti di partecipazione, tra cui quello attinente alla regolarità fiscale, siano posseduti per tutta la durata della gara, compiendo le necessarie verifiche riguardo all’intero periodo.

Infine, indipendentemente dalle verifiche compiute dalla Stazione Appaltante, il concorrente che impugna l’aggiudicazione può sempre dimostrare, con qualunque mezzo idoneo allo scopo, sia che l’aggiudicatario fosse privo ab initio della regolarità fiscale, sia che lo stesso abbia perso tale requisito in corso di gara.

Sommario: 1. Ordinanza di rimessione: presupposti e contenuti; 2. Pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 7/2024; 3. Conclusioni.

 

___________________

*Segretario Comunale

 

  1. Ordinanza di rimessione-Presupposti e contenuti

Con sentenza n. 7 del 24 aprile 2024, l’Adunanza Plenaria ha fornito indicazioni di grande rilievo in merito ai tre quesiti sottoposti dalla Terza Sezione del Consiglio di Stato con Ordinanza n. 161 del 4 gennaio 2024.

Le tre questioni rimesse all’Adunanza Plenaria, segnatamente, hanno riguardato il possesso del requisito di partecipazione relativo alla regolarità fiscale, che – alla stregua degli altri – deve

essere posseduto dall’operatore economico per tutta la durata della gara pubblica fino alla stipula del contratto, nonché durante l’esecuzione dello stesso.

In particolare, ravvisando tra gli orientamenti interpretativi un possibile contrasto giurisprudenziale, la Terza Sezione del Consiglio di Stato ha ritenuto di dover rimettere all’ Adunanza Plenaria i seguenti quesiti:

1) se, fermo restando il principio dell’insussistenza di un potere della Stazione Appaltante di sindacare le risultanze delle certificazioni dell’Agenzia delle Entrate attestanti l’assenza di irregolarità fiscali a carico dei partecipanti a una gara pubblica, le quali si impongono alla stessa Amministrazione, il principio della necessaria continuità del possesso in capo ai concorrenti dei requisiti di ordine generale per la partecipazione alle procedure selettive comporti sempre il dovere di ciascun concorrente di informare tempestivamente la Stazione Appaltante di qualsiasi irregolarità che dovesse sopravvenire in corso di gara;

2) se, correlativamente, sussista a carico della Stazione Appaltante, ferma restando la richiamata regola della sufficienza delle certificazioni rilasciate dalle Autorità competenti, il dovere di estendere la verifica circa l’assenza di irregolarità in capo all’aggiudicataria della procedura in relazione all’intera durata di essa, se del caso attraverso l’acquisizione di certificazioni estese all’intero periodo dalla presentazione dell’offerta fino all’aggiudicazione;

3) se, in ogni caso e a prescindere dalla sufficienza o meno delle verifiche condotte dalla Stazione Appaltante, il concorrente che impugni l’aggiudicazione possa dimostrare, e con quali mezzi, che in un qualsiasi momento della procedura di gara l’aggiudicataria ha perso il requisito dell’assenza di irregolarità con il conseguente obbligo dell’Amministrazione di escluderla dalla procedura stessa.

La Terza Sezione aveva, infatti, rilevato la possibilità di un contrasto tra due orientamenti giurisprudenziali formatisi in materia di gare d’appalto:

– da una parte il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, nelle gare pubbliche, le certificazioni relative alla regolarità contributiva e tributaria delle imprese partecipanti, emanate dagli organi preposti, si impongono alle Stazioni Appaltanti che non possono in alcun modo sindacarne il contenuto, non residuando alle stesse alcun potere valutativo sul contenuto o sui presupposti di tali certificazioni e spettando, infatti, in via esclusiva all’Agenzia delle Entrate il compito di dare un giudizio sulla regolarità fiscale dei partecipanti a gara pubblica. Ciò in considerazione che la Stazione Appaltante non dispone di alcun potere di autonomo apprezzamento del contenuto delle certificazioni di regolarità tributaria, al pari della valutazione circa la gravità o meno della infrazione previdenziale, riservata agli enti previdenziali (cfr. Cons. Stato, Ad. Plenaria, 4 maggio 2012, n. 8; Sez. III, 18 dicembre 2020, n. 8148; Sez. V, 17 maggio 2013, n. 2682);

– dall’altra parte, a fronte di tale orientamento, vi è un ulteriore consolidato principio enunciato dalla giurisprudenza (Ad. Plenaria, 20 luglio 2015, n. 8), riveniente dalla regola secondo cui, “proprio perché la verifica può avvenire in tutti i momenti della procedura (a tutela dell’interesse costante dell’Amministrazione ad interloquire con operatori in via permanente affidabili, capaci e qualificati), allora in qualsiasi momento della stessa deve ritenersi richiesto il costante possesso dei detti requisiti di ammissione; tanto, vale la pena di sottolineare, non in virtù di un astratto e vacuo formalismo procedimentale, quanto piuttosto a garanzia della permanenza della serietà e della volontà dell’impresa di presentare un’offerta credibile e dunque della sicurezza per la Stazione Appaltante dell’instaurazione di un rapporto con un soggetto, che, dalla candidatura in sede di gara fino alla stipula del contratto e poi ancora fino all’adempimento dell’obbligazione contrattuale, sia provvisto di tutti i requisiti di ordine generale e tecnico-economico-professionale necessari per contrattare con la P.A. (…). E tale specifico onere di continuità in corso di gara del possesso dei requisiti, è appena il caso di rilevarlo, non solo è del tutto ragionevole, siccome posto a presidio dell’esigenza della stazione appaltante di conoscere in ogni tempo dell’affidabilità del suo interlocutore ‘operatore economico’ (e dunque di poter monitorare stabilmente la perdurante idoneità tecnica ed economica del concorrente ), ma è altresì non sproporzionato, essendo assolvibile da quest’ultimo in modo del tutto agevole, mediante ricorso all’ordinaria diligenza, che gli operatori professionali devono tenere al fine di poter correttamente insistere e gareggiare nel concorrenziale mercato degli appalti pubblici; il che significa, per quanto qui ne occupa, garantire costantemente la qualificazione loro richiesta e la possibilità concreta della sua dimostrazione e verifica (…)”.

 

  1. Pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 7/2024

Con la sentenza n. 7 del 24 aprile 2024, preliminarmente il Collegio non ravvisa l’ipotizzato contrasto giurisprudenziale posto a fondamento del primo quesito. A tal fine, ribadisce l’orientamento per il quale i certificati rilasciati dalle autorità competenti, in ordine alla regolarità fiscale o contributiva del concorrente, hanno natura di dichiarazioni di scienza e si collocano fra gli atti di certificazione o di attestazione facenti prova fino a querela di falso, per cui si impongono alla Stazione Appaltante, esonerandola da ulteriori accertamenti: tale orientamento riguarda, unicamente, il profilo della prova circa la sussistenza del requisito e degli accertamenti richiesti al fine di verificare la veridicità delle dichiarazioni all’uopo rese dal concorrente in sede di gara, come si desume dall’art. 86, comma 2, del D.Lgs. n. 50/2016, applicabile alla fattispecie ratione temporis.

L’ulteriore orientamento che secondo la Sezione remittente si contrapporrebbe al primo, fa, invece, riferimento al regime sostanziale dei requisiti di ammissione previsti dalla lex specialis, affermando la necessità che gli stessi siano posseduti dal concorrente a partire dal momento della presentazione dell’offerta e sino alla stipula del contratto e poi ancora fino all’adempimento dell’obbligazione contrattuale. In ragione di ciò, il concorrente che partecipa a una procedura a evidenza pubblica deve possedere, continuativamente, i necessari requisiti di ammissione e ha l’onere di dichiarare, sin dalla presentazione dell’offerta, l’eventuale carenza di uno qualunque dei requisiti e di informare, tempestivamente, la Stazione Appaltante di qualsivoglia sopravvenienza tale da privarlo degli stessi. In tal senso, il Collegio ricorda che «pur se l’art. 85 non prevede espressamente il dovere di comunicare alla Stazione Appaltante le eventuali cause di esclusione dalla gara verificatesi in un momento successivo alla presentazione dell’offerta, il relativo onere dichiarativo deve ricollegarsi, alla necessità, sancita dall’art. 1, comma 2-bis, della L. 7 agosto 1990, n. 241, che: “I rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione (siano) improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede”. Tale disposizione, infatti, ha posto un principio generale sull’attività amministrativa e si estende indubbiamente anche allo specifico settore dei contratti pubblici (Cons. Stato, Sez. III, 19 febbraio 2024, n. 1591; Sez. V, 16 agosto 2021, n. 5882)».

In conformità a tali inderogabili principi di collaborazione e buona fede, poiché i requisiti di partecipazione devono sussistere per tutta la durata della gara sino alla stipula del contratto, nonché poi ancora fino all’adempimento delle obbligazioni contrattuali, “discende, de plano, il dovere della stazione appaltante di compiere i relativi accertamenti con riguardo all’intero periodo (C.d.S., Ad. plen., 20 luglio 2015, n. 8; 25 febbraio 2014, n. 10; Sez. IV, 4 maggio 2015, n. 2231; Sez. III, 10 novembre 2021, n. 7482)”. Il Collegio evidenzia come tale regola sia desumibile anche dall’art. 80, comma 6, del D.Lgs. n. 50/2016, il quale stabilisce che: “Le stazioni appaltanti escludono un operatore economico in qualunque momento della procedura, qualora risulti che l’operatore economico si trova, a causa di atti compiuti o omessi prima o nel corso della procedura, in una delle situazioni di cui ai commi 1, 2, 4 e 5”.

Con specifico riguardo al requisito concernente l’assenza di debiti tributari, l’Adunanza Plenaria afferma che la certificazione rilasciata dall’Amministrazione fiscale competente (Agenzie delle Entrate o eventualmente altra Amministrazione titolare di poteri impositivi), ai sensi dell’art. 86, comma 2, lett. b), del D.Lgs. n. 50/2016, deve coprire l’intero lasso temporale rilevante, ovvero quello che va dal momento di presentazione dell’offerta sino alla stipula del contratto.

In altri termini, sebbene non sussista una norma specifica che imponga all’operatore di comunicare la perdita di uno dei requisiti di partecipazione, secondo il Collegio lo stesso sarebbe comunque tenuto a farlo in ossequio ai principi di collaborazione e di buona fede cui – secondo l’art 1, comma 2-bis, della L.n. 241/1990 – devono essere ispirati i rapporti tra cittadino e Amministrazione.

Specularmente, la Stazione Appaltante ha il dovere di verificare che i requisiti di partecipazione, tra cui quello attinente alla regolarità fiscale, siano posseduti per tutta la durata della gara, compiendo le necessarie verifiche riguardo all’intero periodo.

Con riferimento all’ultimo quesito prospettato, il Collegio infine puntualizza che, indipendentemente dalle verifiche compiute dalla Stazione Appaltante, il concorrente che impugna l’aggiudicazione può sempre dimostrare, con qualunque mezzo idoneo allo scopo, sia che l’aggiudicatario fosse privo ab origine della regolarità fiscale, sia che lo stesso abbia perso tale requisito in corso di gara.

Per quanto riguarda la certificazione rilasciata dall’Agenzia delle Entrate, ovvero dagli enti previdenziali e assistenziali (DURC), l’Adunanza Plenaria osserva che “per la consolidata giurisprudenza compete al giudice amministrativo accertare, in via incidentale (ossia senza efficacia di giudicato nel rapporto tributario o previdenziale/assistenziale), nell’ambito del giudizio relativo all’affidamento del contratto pubblico, la idoneità e la completezza della certificazione presa in considerazione, quale atto interno della fase procedimentale di verifica dei requisiti di ammissione dichiarati dal concorrente (C.d.S., Ad. plen., 25 maggio 2016, n. 10; Sez. V, 9 febbraio 2024, n. 1339; 26 aprile 2021, n. 3366; 14 giugno 2019, n. 4023)”.

Alla luce di tali enunciati principi di diritto, l’Adunanza Plenaria passa ad affrontare le questioni oggetto del contendere.

In particolare, nell’appello principale veniva lamentavo che l’aggiudicataria dovesse essere esclusa dalla gara perché priva, al momento della presentazione dell’offerta, della regolarità fiscale, in conseguenza di un debito, grave e definitivamente accertato, col Segretariato Generale della Giustizia amministrativa, derivante dal mancato pagamento di una sanzione irrogata in conseguenza del ritardato pagamento del contributo unificato dovuto per l’iscrizione a ruolo di un ricorso in appello. Da qui, l’errore del giudice di prime cure nell’aver ritenuto insussistente la carenza del requisito in parola e la violazione del conseguente onere dichiarativo gravante sull’aggiudicataria. Ciò, nonostante al momento della presentazione dell’offerta non fosse emersa, dall’esame del “cassetto fiscale” dell’aggiudicatario, l’esistenza di alcun debito. Solo successivamente, infatti, nel “cassetto” erano state inserite alcune cartelle di pagamento, una delle quali concernente il debito di cui sopra, estinto in corso di gara, prima della notifica della relativa cartella esattoriale.

L’appellante principale, dal canto suo, non aveva prodotto a sostegno della propria censura alcuna documentazione, avendo desunto la dedotta carenza della regolarità fiscale, unicamente da una dichiarazione resa dall’aggiudicatario in altra gara.

Il Collegio preliminarmente rileva che, come già evidenziato dalla Sezione remittente, il contributo unificato va ascritto alla categoria delle entrate tributarie, delle quali condivide tutte le caratteristiche essenziali, “quali la doverosità della prestazione e il collegamento della stessa ad una pubblica spesa, cioè quella per il servizio giudiziario, con riferimento ad un presupposto economicamente rilevante” (cfr. Corte cost., 7 febbraio 2005, n. 73; C.d.S., Sez. V, 4 maggio 2020, n. 2785; Cass. civ., Sez. un., 5 maggio 2011, n. 9840)”.

L’Adunanza Plenaria specifica che identica natura fiscale va riconosciuta alle sanzioni pecuniarie conseguenti al mancato o al ritardato pagamento del contributo unificato, trattandosi di obbligazioni accessorie che hanno fondamento in un rapporto di tipo tributario (si veda l’art. 2, comma 1, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, che, infatti, attribuisce la giurisdizione sulle sanzioni in parola al giudice tributario). Il mancato pagamento delle sanzioni irrogate a seguito del mancato versamento del contributo unificato nei tempi previsti, ad avviso del Collegio integra, dunque, la causa di esclusione prevista dall’art. 80, comma 4, del D.Lgs. n. 50/2016, laddove la violazione sia grave e definitivamente accertata.

Nel caso di specie, l’aggiudicataria risultava priva del requisito della regolarità fiscale, posto che al momento della presentazione dell’offerta, la stessa risultava in debito col Segretariato generale della Giustizia amministrativa di una somma a titolo di sanzione per il mancato tempestivo versamento del contributo unificato dovuto per l’iscrizione a ruolo di un ricorso in appello. La violazione di tale obbligazione tributaria era grave e definitivamente accertata: “grave”, in quanto superiore alla soglia di 5.000 euro, fissata dall’art. 48-bis, commi 1 e 2-bis, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, espressamente richiamato dall’art. 80, comma 4, del D.Lgs. n. 50/2016; “definitivamente accertata”, poiché l’invito di pagamento, valevole quale atto di accertamento della debenza, sia in relazione al contributo unificato dovuto, sia con riguardo alle sanzioni pecuniarie da corrispondere per il caso di mancato o ritardato versamento dello stesso, era stato correttamente notificato all’aggiudicataria all’indirizzo del difensore presso il quale aveva eletto domicilio, oltre a non essere stato impugnato, con conseguente cristallizzazione dell’obbligazione concernente tanto il contributo unificato, quanto la sanzione pecuniaria.

Nel descritto contesto, l’Adunanza Plenaria chiarisce un passaggio essenziale, ossia che non rileva il fatto che al momento della presentazione dell’offerta nel “cassetto fiscale” dell’aggiudicataria non risultassero pendenze tributarie o che la regolarità fiscale fosse stata accertata dall’Agenzia delle Entrate e dall’ANAC tramite l’AVCPASS, non rientrando il contributo unificato tra le imposte amministrate dall’Agenzia delle Entrate, per cui i debiti ad esso relativi non vengono iscritti nel “cassetto fiscale”. Solo a seguito dell’emissione del ruolo e della sua consegna all’Agenzia delle Entrate-Riscossione per la procedura esattoriale, l’esistenza del debito è comparsa, attraverso l’indicazione della relativa cartella, nel “cassetto fiscale”, ma senza alcuna influenza sulla regolarità fiscale dell’aggiudicataria, ormai già insussistente. Analoghe considerazioni vanno svolte quanto al certificato rilasciato dall’Agenzia delle Entrate, il quale attesta la situazione fiscale del contribuente unicamente con riguardo alle imposte gestite dal detto ufficio, mentre non rileva per i tributi gestiti da altre Amministrazioni, come per l’appunto il contributo unificato.

L’Adunanza Plenaria evidenzia come il documento acquisito tramite il sistema AVCPASS “non reca alcuna indicazione in ordine a eventuali debiti derivanti dal mancato o ritardato pagamento del contributo unificato e delle relative sanzioni, come si ricava dalla delibera 20 dicembre 2012, n. 111, e succ. mod. e integr., con cui l’ANAC, in attuazione di quanto previsto dall’art. 6-bis del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, ha istituito tale sistema. Difatti, l’art. 5 della delibera n. 111 del 2012, che elenca gli enti certificanti tenuti a mettere a disposizione la documentazione e i dati in proprio possesso, relativi ai requisiti di carattere generale per la partecipazione alle gare, non individua, tra di essi, il Segretariato generale della Giustizia amministrativa, per cui l’esistenza di eventuali debiti fiscali nei confronti di quest’ultimo non emerge dal documento rilasciato dall’ANAC”.

In ogni caso, il Collegio sottolinea che, nell’ambito del giudizio contro il provvedimento di aggiudicazione di una gara, il giudice ha sempre il potere di accertare l’idoneità e la completezza delle certificazioni rilasciate dalle competenti Amministrazioni in ordine al possesso dei requisiti di partecipazione. Nella vicenda specifica, infine, il Collegio ritiene che l’appellante principale abbia provato la sussistenza dell’invocata causa di esclusione dalla gara attraverso il rituale depositato della dichiarazione, resa dalla stessa aggiudicataria in altra procedura selettiva, da cui emerge inequivocabilmente la sussistenza del debito fiscale di che trattasi, con conseguente accoglimento dell’appello, annullamento dell’aggiudicazione e subentro della seconda classificata previo riscontro, da parte della Stazione Appaltante, del possesso dei requisiti di partecipazione alla gara.

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