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Il DL n. 4 del 2024 è il più recente intervento normativo adottato per far fronte agli effetti negativi prodotti dalla crisi dell’acciaieria più grande d’Europa e collocata nelle vaste aree pianeggianti e vicine al mare di Taranto.

Il contenitore giuridico attraverso il quale, ormai da un decennio, il Governo sta affrontando i molteplici interessi coinvolti dall’acciaieria è quello della procedura di amministrazione straordinaria introdotta in Italia nel 1979 con la cosiddetta Legge Prodi (e poi riformata nel 1999 con la Legge Prodi Bis).

L’attivismo dei Governi che si sono succeduti nel tempo ha dovuto fare i conti di volta in volta con le rigide regole europee che impediscono (salvo specifiche deroghe) agli Stati di fornire aiuti alle imprese che, in tal modo, si possano avvantaggiare nel mercato interno europeo. Nel caso dell’acciaieria tarantina, il Governo si trova per un verso a dover garantire la continuità dell’impresa, al fine di consentire un agile ricollocamento dell’impianto industriale e, per altro verso, ad affrontare oneri di bonifica necessari per la tutela ambientale e della salute dei cittadini; poiché finanziati dallo Stato o garantiti dallo stesso, tali investimenti hanno una contropartita in un obbligo di restituzione del finanziamento con le risorse ricavate dalla riallocazione dell’impianto ai nuovi acquirenti. Insomma, alla sensibilità dello Stato di intervenire sulla emergenza socio-economica e ambientale in modi e tempi congrui corrisponde al diritto di essere ripagato prima degli altri creditori, subito dopo il rimborso delle spese sostenute per la continuità dell’impresa e delle spese della procedura (c.d. prededucibilità).

L’effetto nefasto del congelamento dei pagamenti dei crediti maturati per le attività svolte in favore prima dell’Ilva, poi di Acciaierie Italia è stato accusato in modo decisivo da tutte le imprese coinvolte direttamente e indirettamente nel processo produttivo (dalle manutenzioni, alla logistica) che hanno sviluppato nel tempo un certo grado di dipendenza economica dal polo tarantino dell’acciaio (fino a generare la c.d. monocommittenza). Ovviamente, più alto è il grado di dipendenza economica di ciascuna impresa dell’indotto, più grave è l’effetto dei mancati pagamenti sull’equilibrio gestionale, e di conseguenza sugli interessi dei soggetti coinvolti, specie dei lavoratori, ma altresì dei finanziatori e del Fisco.

I piani di interesse a cui lo Stato volge la propria attenzione sono diversi: da un lato lo stabilimento produttivo dall’altro il variegato mondo dell’indotto, della cui crisi derivata non può occuparsi direttamente; di certo la rapidità dell’intervento è fattore ugualmente rilevante per entrambi gli ambiti e persino più rilevanti per le imprese dell’indotto. In ragione dei mancati flussi finanziari derivati dai crediti impagati di Ilva e AdI, le imprese dell’indotto hanno fatto ricorso maggiormente al credito bancario, esaurendone l’affidabilità. In queste condizioni, lo squilibrio rischia di diventare un fattore inerziale e di minare la continuità aziendale e la preservazione dell’occupazione ambite proprio dalla legislazione speciale.

Le norme del 2015 contengono una specifica misura di sostegno all’indotto, l’intervento del Fondo di Garanzia per le PMI per le imprese fornitrici di tali servizi che abbiano un livello di dipendenza del loro fatturato dall’attività prestata all’acciaieria pari almeno al 50% nell’anno precedente all’amministrazione straordinaria Ilva. Tuttavia, l’intervento del Fondo finora non esime le imprese di dimostrare un’adeguata capacità di rimborso del finanziamento bancario da garantire, impedendo così l’accesso alle imprese in difficoltà. In ogni caso, i titolari di crediti maturati verso l’Ilva, alla luce delle regole vigenti di partecipazione al riparto dell’attivo liquidato, restano ultimi o quasi a partecipare al banchetto fallimentare. Alle sole PMI coinvolte nelle attività di esecuzione del piano ambientale adottato dal Governo con il DPCM del 14 marzo 2014, è riconosciuta la natura prededucibile dei crediti maturati per tali prestazioni effettuate prima dell’apertura della procedura di amministrazione straordinaria dell’Ilva S.p.A.

Il recente D.L. n. 4/2024 sceglie come misura essenziale la protezione dei crediti maturati verso AdI (strizzando l’occhio all’indotto), riconoscendone la natura prededucibile anche in capo ai cessionari e garanti di tali crediti come SACE S.p.A. In questo modo, il credito può diventare concreta garanzia per un finanziamento (in ogni forma), può essere ceduto a terzi riscuotendone un dignitoso valore attuale.

Non a caso, il decreto prevede espressamente che tali crediti rappresentino parametri per l’accesso al credito delle imprese dell’indotto «che incontrano difficoltà di accesso al credito a causa dell’aggravamento della posizione debitoria» dell’AdI; se per un verso il sostegno è riconosciuto a tutte le imprese il cui il grado di dipendenza è almeno pari al 35% del fatturato calcolato negli ultimi 5 anni; il finanziamento massimo che può ricevere garanzia dal Fondo di garanzia per le PMI è in larga misura parametrato all’entità di tali crediti.

Riconosciuta la difficoltà delle imprese dell’indotto causata dalla crisi di AdI, diventa indispensabile conoscere la capienza del patrimonio da liquidare da parte dei Commissari rispetto all’entità dei crediti prededucibili complessivamente considerati.

Il trascorrere vano del tempo non solo rende del tutto inattuabile l’impalcatura normativa del DL n.4/2024 se riferita alle volontà di sostegno all’indotto ma apre la prospettiva di crisi irreversibili per le quali si profila un disastroso rimedio liquidatorio giudiziale. Il tempo, come ricorda Michele Sandulli, resta essenziale nell’efficace ed efficiente soluzione della crisi.



 

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