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Pagare le donne per avere più figli non funzionerà. Lo ha spiegato il quotidiano economico inglese The Economist in un editoriale che chiarisce perché gli incentivi economici non sono sufficienti. Nei Paesi ad alto e medio reddito, dove continua a scendere il tasso di fertilità, c’è un insieme di programmi che gli Stati non stanno tenendo in conto. Vediamo di cosa si tratta.

I finanziamenti non bastano

Il tasso di natalità in calo in tutto il mondo, ad eccezioni di alcuni Paesi in Africa e in Asia, non è da sottovalutare. Lo hanno ben chiaro i leader di tutti gli Stati vittime di questo fenomeno che, chi prima e chi dopo, hanno messo in atto una serie di pacchetti di sostegno alla genitorialità. Generosi alcuni, altri meno, secondo il The Economist questi “pacchetti” non bastano. O meglio, i dati dimostrano che non sono del tutto utili per affrontare quello che ne deriverà.

In America, intanto, se il candidato alle presidenziali statunitensi Donald Trump dovesse essere eletto, ha garantito alle famiglie una serie di bonus per aumentare il numero di figli. Così come il presidente Emmanuel Macron in Francia che vuole “riarmare demograficamente il suo Paese”. E ancora, la Corea del Sud che conta di donare fino a circa 70mila euro per bambino. Ma, come spiega l’analisi del The Economist: “Un tasso di fertilità di 1,6 significa che, senza immigrazione, ogni generazione sarà un quarto più piccola di quella precedente. Nel 2000 i paesi ricchi contavano 26 ultrasessantacinquenni ogni 100 persone di età compresa tra i 25 e i 64 anni. Entro il 2050 probabilmente raddoppierà. I luoghi più colpiti vedranno cambiamenti ancora più drammatici. In Corea del Sud, dove il tasso di fertilità è pari a 0,7, si prevede che la popolazione diminuirà del 60% entro la fine del secolo”.

“I governi devono prestare attenzione ai rapidi cambiamenti demografici – continua il quotidiano -. Le società che invecchiano e si restringono probabilmente perderanno dinamismo e potenza militare. Si troveranno sicuramente ad affrontare un incubo di bilancio, poiché i contribuenti lottano per finanziare le pensioni e l’assistenza sanitaria di legioni di vecchi. Molte politiche pro-nataliste hanno effetti di per sé preziosi. Gli aiuti ai genitori poveri, ad esempio, riducono la povertà infantile e le madri che possono permettersi di prendersi cura dei figli hanno maggiori probabilità di lavorare. Tuttavia, i governi sbagliano nel ritenere che sia in loro potere aumentare i tassi di fertilità. Per prima cosa, tali politiche si fondano su una falsa diagnosi di ciò che finora ha causato il declino demografico. Dall’altro, potrebbero costare più dei problemi che sono pensati per risolvere”. Ma allora qual è il problema?

Le cause della denatalità

Che non sia solo una questione economica è parere condiviso da demografi e decisori politici. C’è chi associa il calo delle nascite, ad esempio, al fatto che le donne rimandando nel tempo la scelta di avere un figlio, rischiando di arrivare al limite del tempo naturalmente prestabilito. Questo perché, concentrarsi sul lavoro, costringe le donne a una formazione universitaria di alto livello e un quantitativo di lavoro superiore a quello dei colleghi uomini. Ma, come spiega il The Economist: “L’idea che non abbiano più tempo per avere tutti i bambini che desiderano prima che l’età fertile giunga al termine spiega perché le politiche tendono a concentrarsi sull’offerta di agevolazioni fiscali e di assistenza all’infanzia sovvenzionata. In questo modo, si sostiene, le donne non dovranno scegliere tra la famiglia e la carriera – ma non è questo il problema -. Le donne con istruzione universitaria hanno infatti figli più tardi nella vita, ma solo di poco. In America l’età media alla nascita del primo figlio è passata dai 28 del 2000 ai 30 di oggi. Queste donne hanno più o meno lo stesso numero di figli dei loro coetanei una generazione fa. Questo è un po’ al di sotto di quella che dicono sia la dimensione della loro famiglia ideale, ma il divario non è diverso da quello di una volta”.

“Alcuni politici – denuncia il quotidiano – potrebbero approfittare di questo per indirizzare le politiche di stimolo alla nascita delle donne molto giovani. Potrebbero anche essere tentati dall’evidenza che le donne più povere rispondono maggiormente agli incentivi finanziari. Ma concentrarsi sulle donne giovani e povere come gruppo sarebbe dannoso per loro e per la società. Le gravidanze adolescenziali sono legate alla povertà e alla cattiva salute sia della madre che del bambino. Incentivi mirati ritarderebbero decenni di sforzi per frenare le gravidanze adolescenziali indesiderate e incoraggiare le donne a studiare e lavorare. Questi sforzi, insieme ai programmi per migliorare l’uguaglianza di genere, si collocano tra i più grandi trionfi di politica pubblica del dopoguerra”.

Cosa possono fare allora i governi?

“L’immigrazione altamente qualificata può colmare i gap fiscali, ma non indefinitamente, dato che la fertilità sta diminuendo a livello globale. La maggior parte delle economie dovrà quindi adattarsi al cambiamento sociale e spetta ai governi spianare la strada. Lo stato sociale dovrà essere ripensato: gli anziani dovranno lavorare più avanti nella vita, ad esempio, per ridurre il peso sulle casse pubbliche. Sarà necessario incoraggiare l’invenzione e l’adozione di nuove tecnologie. Ciò potrebbe facilitare la transizione demografica, stimolando la crescita della produttività in tutta l’economia o favorendo l’assistenza agli anziani. Le nuove tecnologie domestiche possono aiutare i genitori, proprio come fecero le lavastoviglie e le lavatrici a metà del XX secolo. Le politiche di promozione dei bambini, al confronto, sono un errore costoso e socialmente retrogrado”.

In sintesi, per il The Economist, non ci sono altre soluzioni che quelle di adattarsi al cambiamento demografico, investendo le ingenti somme di denaro destinate alla genitorialità in progetti che possano essere di sostegno agli over 60. Per la telemedicina, ad esempio, strumento che renderà agile il lavoro sanitario per il crescente numero di persone che ne avrà sempre più bisogno. Così come la Silver economy, in generale, mercato che si stima essere già superiore a 7,6 mila miliardi di dollari l’anno negli Usa. Ma a livello globale l’ammontare sarebbe di 15,6mila miliardi, un ordine di grandezza tale da rappresentare la seconda “potenza economica” dopo gli Usa e prima della Cina.

In un futuro non così lontano, questa categoria di persone rappresenterà quella con il numero maggiore di destinatari di beni e servizi nei Paesi ad alto e medio reddito. A loro, secondo l’analisi del quotidiano economico, andrebbe focalizzata la nostra attenzione.

 

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