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È amara la montagna, più di sempre. Silenziosa e triste.

Contrade senza bambini, vecchie case vuote e villini chiusi;

prati inselvatichiti che non vengono più falciati. (…)

La montagna regola la pianura, dice un vecchio proverbio,

ma se viene abbandonata a soffrirne saranno tutti
.

Mario Rigoni Stern

Piccoli ma “giganti” per storia, bellezza, tradizioni, saperi e – soprattutto – per l’impegno nella transizione ecologica ed energetica.

Torniamo ai piccoli Comuni d’Italia, quelli con meno di 5 mila abitanti, che in Campania sono 344 su un totale di 550, dove vivono 671.670 persone, pari al 12% della popolazione regionale. Sono comuni sempre più minacciati da spopolamento e calo demografico.

A fare il punto della situazione, dati alla mano, provando ad indicare una possibile “rotta” da seguire, è Legambiente attraverso il dossier  Borghi Avvenire, trend e opportunità per arrestare lo spopolamento e investire su scenari futuri , realizzato in occasione del ventennale di Voler Bene all’Italia, la sua campagna dedicata ai piccoli comuni.

La direzione scientifica e la redazione è stata affidata a Sandro Polci, con Roberto Gambassi; mentre a curare il nuovo report c’è Alessandra Bonfanti. Giampiero Lupatelli firma invece il contributo per la parte degli attori del cambiamento, Katiuscia Eroe si è occupata della parte che riguarda i comuni Rinnovabili e l’opportunità energetica.

STRUTTURA E TENDENZA DEI BORGHI

Al 1 gennaio 2024 i piccoli comuni italiani, cioè quelli con una popolazione pari o inferiore ai 5.000 abitanti, sono 5.526 su un totale di 7.901, ovvero il 69,9% del totale. Tra le regioni italiane, il Piemonte è quella che ospita il più alto numero di piccoli comuni, con 1.045 su un totale di 1.180 comuni, seguita dalla Lombardia, 1.032 su 1.504 e dalla Campania, che conta 344 piccoli comuni su un totale di 550. La Valle d’Aosta è la regione con la più alta percentuale di piccoli comuni sul totale, ben 73 su 74, con la sola Aosta che supera il numero di 5.000 abitanti, ma sono ben 15 regioni ad avere oltre il 70% di comuni sotto i 5.000 abitanti nella composizione del loro perimetro amministrativo. In Regioni come la Valle d’Aosta e il Molise vivono rispettivamente il 73% e il 52% della popolazione regionale, ma anche in Trentino Alto Adige, Basilicata e Calabria vive oltre il 30% degli abitanti e solo Emilia Romagna, Lazio, Toscana e Puglia hanno una percentuale inferiore a doppie cifre con il primato di quest’ultima del 5,6% della popolazione in comuni piccoli.


NON COSÍ COMUNI

Dal 2001 al 2024 i comuni con meno di 5 mila abitanti diminuiscono da 5.836 a 5.526 (-5,3%). Sono 310 aggregazioni che cercano di fronteggiare al meglio lo spopolamento e rappresentano l’esigenza primaria e condivisa di dare forza e futuro. Secondo una vision ragionevole, significa superare la frammentazione – senza cancellare toponimi, peculiarità e identità storica, naturalmente – sapendo che l’unione fa la forza o è comunque la sola possibilità di trovare la forza di programmazione e scelta.

SPOPOLAMENTO. ROBINSON CRUSOE DI BORGO?

Dal 2001 al 2024 la popolazione dei piccoli borghi è passata da 10.590.000 a 9.687.000: un calo del -8,5%, certamente significativo se paragonato, ad esempio, ai comuni con oltre 10 mila abitanti, cresciuti invece del 7,0%. Gli impatti di tale rivoluzione silente, a livello nazionale, hanno significato complessivamente il +3,5%. Tale spopolamento, dovuto a emigrazione diffusa e morte della popolazione anziana, ha riguardato quasi una persona su 10. Se sembra poco si consideri il parallelo fenomeno dell’invecchiamento che ha sottratto braccia (e menti) alla crescita dei borghi, generando criticità nel lavoro e nella qualità della vita sociale.

STRANIERI. NON CERTAMENTE ESTRANEI

Dal 2021 al 2024 gli stranieri, nei comuni fino a 5 mila abitanti, hanno avuto un incremento per un totale di 659.000 unità con il +68% in quasi un quarto di secolo mentre a livello nazionale la crescita è stata pari al doppio (+142%).

Se dunque a livello nazionale la crescita è stata del 44% superiore ai borghi, va anche preso atto della significativa divaricazione che si è creata tra le due dimensioni urbane.

Infatti nei borghi, nel 2001 si contavano presenze straniere pari al 3,7% mentre nel 2024 sono arrivate al 6,7%. La media italiana è passata da un valore analogo nel 2001 (3,8%) a ben il 9%, che vale un incremento del +62% rispetto ai piccoli comuni.

Nei borghi sotto i 5mila abitanti, i bambini stranieri sotto i 14 anni rappresentano il 9,7% dei bambini totali, nei centri maggiori di 10mila abitanti, la quota supera il 13%.

GIOVANE A CHI?

Il fatto centrale è che lo spopolamento è una patologia più marcata dell’invecchiamento. Ciò detto anche l’invecchiamento è una grave concausa della malattia perché in comunità poco popolate, con un numero di anziani crescente, la presenza di giovani rischia di divenire residuale mentre sono indispensabili per prendere in mano il futuro.

Nei borghi fino a 5 mila abitanti, oggi i giovani fino a 14 anni incidono sulla popolazione totale per il 12,2% nella media nazionale e del 11,4 nei comuni fino a 5 mila abitanti, in un diffuso invecchiamento della popolazione italiana che vede abbassarsi la percentuale di età attiva in questi venti anni e alzarsi la percentuale di anziani che nei piccoli comuni raggiunge il 26,1% della popolazione a fronte di un 24,3% di media nazionale.

Un trend che per i comuni fino a 1.000 abitanti significa un’incidenza di anziani pari al 29,8%, sostanzialmente 1 su 3.


GLI ATTORI DEL CAMBIAMENTO

A cura di Giampiero Lupatelli

I GIOVANI

L’esercizio della voce e del protagonismo degli attori sociali è condizione fondamentale perché nel discorso pubblico della Nazione cresca una nuova consapevolezza del ruolo possibile della Italia Minore. La concreta possibilità di questo esercizio, a sua volta, è funzione del peso concreto di questi attori nella società locale.

Dei giovani, innanzitutto, per il rilievo che il future ha nella loro proiezione soggettiva ma anche per il rilievo che il capitale umano ha nella prospettiva oggettiva della nostra società. Certo l’Italia non è oggi un paese di giovani ma l’Italia minore dei piccoli comuni non è in questo penalizzata quanto si immaginerebbe.

LE IMPRESE

Né, fa difetto alla Italia minore una significativa capacità di farsi interprete del proprio destino, assumendo scelte e rischi imprenditoriali. Con imprese sicuramente più piccole, più fragili, e più avventurose che altrove, ma altrettanto dense e diffuse.

Anzi, ancora più dense: 8,9 imprese per 100 abitanti nei piccoli comuni contro la media nazionale di 8,5. E con una diffusione territoriale che attraversa tutte le regioni della penisola e che, non di rado, è più forte nei piccoli comuni della montagna rispetto a quelli della pianura.

LE ISTITUZIONI CULTURALI

Per una rara volta, la dorsale alpino-appenninica non si evidenzia negativamente ma si qualifica per la presenza diffusa di istituzioni culturali locali, distribuite con sufficiente omogeneità sull’intero territorio nazionale.

Sono 4,3 istituzioni per 100 abitanti contro le 3,5 della media nazionale;

Grazie alle professionalità dei giovani, anche e soprattutto quelli che hanno scelto formazione umanistica e relative valenze tecnologiche, è così possibile plasmare la “materia prima dei luoghi” per elaborarne un nuovo pensiero critico e nuove attrattività, sia residenziali che turistiche.

IL TERZO SETTORE

Molto rilevante – e non del tutto inatteso – è anche il vantaggio che l’Italia minore mostra nella capacità di mobilitare le risorse del capitale sociale. Quelle rappresentate dalla presenza di volontari istituzioni del terzo settore.

Lo scarto tra I piccoli comuni e la media nazionale è davvero rilevante: 9,6 istituzioni sociali private per 100 abitanti contro i 7,9 della media nazionale .

Piuttosto, rileva qui una forte disomogeneità territoriale tra le regioni Alpine (15,9) e dell’Appennino (8,4) ancora più rarefatte nelle regioni del Mezzogiorno.

STRUMENTI A PORTATA DI BORGO


QUI il dossier completo per approfondire le proposte.

L’OPPORTUNITÀ ENERGETICA

il fattore energetico è un elemento centrale per la tutela ambientale e un alleato prezioso per le attività economiche e per gli enti pubblici migliorando l’efficienza con l’incentivazione di energia rinnovabile diffusa sul territorio.

anche per questo un ruolo importante è quello ricoperto dai territori comunali fino a 5.000 abitanti nella produzione di rinnovabili scalando le prime classifiche del Rapporto Comuni Rinnovabili di Legambiente. Anche nell’edizione 2024 tra i piccoli comuni “Giganti nelle rinnovabili”, primi nelle rispettive classifiche spiccano: nel fotovoltaico, il Comune di Bellino (RO) con 71,5 kW/abitante, seguito da Giave (SS) con 46,98 kW/abitante e Caglio (CO) con 45,97 kW/abitante. Nell’eolico svettano il Comune di Bisaccia (AV) con 3.534 abitanti e ben 250,2 MW di potenza installata, Foiano di Val Fortore (BN), con 1.320 abitanti e 223,4 MW e Lacedonia (AV) con 2.048 abitanti e 204,7 MW. Infine, nell’idroelettrico sul podio Val di Vizze (BZ) con 3.093 abitanti e 40,9 MW, Moso in Passiria (BZ) con 2.034 abitanti e 30,3 MW e Borzonasca (GE) con 1.824 abitanti e 26,8 1MW.

In questo salto in avanti nella transizione energetica i piccoli comuni oggi sono protagonisti con il fondo del PNRR di ben 2,2 miliardi a fondo perduto per la costituzione di comunità energetiche per realizzare sia maggiore sostenibilità ambientale ma anche coesione comunitaria e innovazione sociale.

Secondo stime Legambiente l’investimento sui piccoli comuni delle rinnovabili con una potenza di 2 GW al 2030 dovrebbe ridurre 5,5 milioni di tonnellate di CO2 risparmiata, un investimento di 1,6 miliardi con 250 milioni di euro di valore aggiunto ovvero ricadute economiche sulle imprese italiane attive lungo la filiera delle rinnovabili e 2.200 nuovi posti di lavoro diretti.

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Modelli da sperimentare e declinare in forme inedite di welfare di comunità, di produzione locale di prodotti del territorio, di attivazione di beni culturali diffusi e del paesaggio storico con turismo lento e dalla gestione attenta e condivisa del capitale naturale ed ecosistemico a iniziare dai terreni agricoli e dai pascoli abbandonati, restituendo valore a queste filiere e stimolando nuova occupazione, anche su mestieri antichi come accade in pastorizia.

C’è bisogno di una cooperazione tra tutti i livelli istituzionali per onorare questo patto intergenerazionale aprendo nuovi spazi di sperimentazione per continuare a produrre valore sociale e ambientale, tenuta economica e di comunità, e garantire una possibilità di arresto all’emorragia demografica in atto, perché In tempi di crisi climatica e di fragilità dei modelli urbani i margini diventano spazi per agire sui territori, attraverso politiche strutturali e non episodiche.



 

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