diPaola D’Amico
L’associazione di Paolo Kessisoglu e Silvia Rocchi a fianco dell’ospedale Niguarda. Autolesionismo e sofferenza psichica. L’iniziativa solidale ha coinvolto anche Ambra, Diodato, Littizzetto e altri: raccolti 90mila euro
Si tagliano, graffiano, ustionano, si feriscono gambe e braccia con lamette, temperini, punte di vetro. Lo fanno per placare una tensione insopportabile, ridurre una sofferenza psichica e mentale indicibile a parole. Forme di autolesionismo in crescita esponenziale tra i giovanissimi. Segni lasciati da gesti autodistruttivi come urla di dolore senza voce. Aglaia Vignoli, 54 anni, milanese, responsabile della Neuropsichiatria dell’infanzia dell’ospedale Niguarda Ca’ Granda di Milano e docente di neuropsichiatria alla Statale, spiega che accanto alle problematiche emergenti, all’aumento dei disturbi dello sviluppo, all’autismo, «stiamo osservando un cambiamento epidemiologico dei disturbi dei nostri bambini e adolescenti. Evidenziato già prima della pandemia, nella fascia 14-18 anni, ma ora in progressivo anticipo tra i più piccoli. Mentre le richieste di aiuto ai nostri ambulatori e di accesso al pronto soccorso sono cresciute del 300 per cento». A ciò si aggiungono i tentati suicidi e i suicidi.
Perciò il reparto di Neuropsichiatria infantile e adolescenziale di Niguarda ha bisogno di sostegno. Come quello che da un anno è garantito dall’associazione «C’è da fare», fondata dall’attore Paolo Kessisoglu e da Silvia Rocchi proprio per contrastare le diverse forme di ritiro sociale, disagio psicologico e neuropsichiatrico nei giovani. Per festeggiare l’anno dalla Fondazione la onlus ha organizzato una Charity Dinner con la partecipazione e il contributo di artisti e personalità (Ambra, Diodato, Fabio Fazio, Luciana Littizzetto, Cristina Parodi, Chiara Maci, Davide Oldani, Fabio Novembre) e con l’asta sono stati raccolti 90mila euro. «Guardando i primi passi fatti e quello che, mattoncino dopo mattoncino, stiamo provando a costruire – ha detto l’attore – posso dire che un bel po’ di strada è stata fatta. Certo, come ci ricorda il nome della associazione, il lavoro non è mai finito. Ma se penso ai progetti che siamo riusciti a mettere i piedi in questi mesi e alle persone, ai tanti supporter che ci hanno dato fiducia, sento che siamo sulla strada giusta per costruire qualcosa che possa davvero fare la differenza e portare sollievo nella vita dei ragazzi e delle ragazze. Tra gli adolescenti c’è un livello di stress psicologico e disagio importante e spetta a noi adulti fornire loro gli strumenti per superarlo».
Dallo scorso gennaio, proprio grazie al progetto «C’è da fare Safe Teen», gli esperti del Niguarda hanno potuto prendere in carica con un programma ad hoc dieci giovanissimi, triplicando i colloqui psicologici. Con un piano di intervento intensivo «che vogliamo dimostrare scientificamente», spiega la dottoressa Vignoli: «In risposta all’aumento della domanda di aiuto abbiamo potenziato molto l’attività clinica rivolta a questi giovani. Per dedicare più risorse a questo ambito, abbiamo anche dovuto cambiare la nostra organizzazione interna. Ma le risorse sono sempre le stesse. E quello che siamo in grado di dare a questi giovani pazienti oltre alla visita sono colloqui psicologici ma con frequenza molto limitata, quattro accessi al mese. Invece, grazie al progetto di “C’è da fare” gli interventi sono passati da quattro a dodici. E siamo anche in grado di fare un intervento sistemico, coinvolgendo la famiglia. Questo aspetto, dare ascolto e indicazioni su come comportarsi a livello familiare, senza risorse sarebbe impossibile da realizzare. Invece è un tassello importante del percorso di presa in carico di ragazze e ragazzi, anche per ridurre il rischio di ricovero, per intervenire nel post ricovero, per evitare ricadute o l’invio in comunità».
La percentuale dei giovanissimi con problemi neuropsichiatrici è del 15 per cento. A Niguarda la Neuropsichiatria infantile ne ha in carico tremila; circa 500 ogni anno sono indirizzati ai servizi ambulatoriali e il 10 per cento «ha un grado di severità che richiede un intervento intensivo. Il nostro progetto – conclude la dottoressa Vignoli – ha l’ambizione di diventare un modello replicabile in altre strutture. Per realizzarlo però è fondamentale l’aiuto di “C’è da fare”, perché ci consente di reclutare specialisti, educatori, terapisti della riabilitazione, psicologi così da integrare il nostro team. E nel caso dei “ritirati” possiamo intervenire anche a domicilio».
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