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C’è però un’obiezione che è utile affrontare, ed è la seguente: in un momento di profonda incertezza economica, con il potere d’acquisto intaccato dall’inflazione e gli investimenti in frenata per tante ragioni di contesto interno e internazionale, ha senso mettere mano alle modalità con cui viene amministrata la giustizia? In senso più generale e immediato: le istituzioni, o la riforma delle stesse, ci danno forse di che vivere? La risposta è un convinto «sì». Infatti se un sistema di regole, oppure di norme e di applicazione delle stesse, diventa più certo e prevedibile, allora nel medio-lungo termine tutti gli operatori economici ne beneficeranno, accrescendo le loro possibilità di generare e consumare ricchezza. Tale meccanismo funziona anche nella direzione opposta: l’incertezza delle regole o della loro applicazione (giudiziaria), spesso più delle regole in sé, crea confusione negli operatori e peggiora la performance economica di un sistema.

Iniziamo da un esempio che riguarda milioni di cittadini, cioè gli incentivi per l’acquisto di un’automobile nuova. Sabato scorso è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale il decreto che rende disponibili, da giugno, i fondi per l’acquisto di vetture ibride ed elettriche. Quale che sia il giudizio di una simile misura, non si può che valutare negativamente il fatto che sia passato più di un anno tra l’annuncio dell’intervento e la sua effettiva applicazione. Un’attesa che ha influenzato le scelte di tanti consumatori. Michele Crisci, presidente dell’Unrae (associazione delle Case produttrici straniere), qualche settimana fa si era detto certo che «la prolungata attesa degli incentivi [stesse] determinando una paralisi del mercato per le motorizzazioni a più basse emissioni».

Un effetto «spiazzamento» ancora più forte si può verificare quando l’incertezza delle regole riguarda gli investimenti. Un caso di studio è quello del decreto Pnrr quater approvato dal governo lo scorso 6 febbraio. Il decreto conteneva tra l’altro una misura avveduta come i cosiddetti «crediti d’imposta 5.0», cioè sgravi fiscali legati agli investimenti delle imprese, un modo per accelerare l’impiego dei fondi del Pnrr riducendo il ruolo di intermediazione dell’amministrazione pubblica. L’agevolazione, secondo il decreto, si applica agli investimenti effettuati a partire dal 1° gennaio 2024 dino al termine del 2025, quando le imprese dovranno aver completato l’acquisto del bene strumentale incentivato e averlo messo in funzione. Peccato che siamo praticamente a giugno e i decreti attuativi della misura non ci sono ancora. Così il disincentivo agli investimenti è compiuto, con effetti a cascata per crescita e occupazione.

Come se le imprese italiane non fossero già gravate dall’incertezza regolatoria a livello europeo. Si pensi all’allarme generato negli scorsi mesi dalla versione originaria del regolamento degli imballaggi con Bruxelles che, dopo aver puntato per tre decenni sul «riciclo», favorendo investimenti miliardari in tal senso, aveva deciso di cambiare rotta e di incentivare quasi esclusivamente il «riuso». La certezza delle regole dunque conta, nel bene e nel male. Come ha scritto il Premio Nobel per l’Economia Douglass North, nel suo libro «Structure and Change in Economic History», «le istituzioni sono il filtro tra gli individui e lo stock di capitale, e tra lo stock di capitale e la produzione di beni e servizi e la distribuzione del reddito». Mantenere pulito e funzionante questo filtro non sarà mediaticamente attraente come l’annuncio di un «bonus» ma è un’attività ben più determinante per la crescita economica e per la società tutta.

 

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