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ROMA. Per capire l’aria che tira a Palazzo Chigi occorre ascoltare il solitamente poco loquace sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, il più fedele interprete del pensiero di Giorgia Meloni. «Tutti ci ricordiamo quando nell’ultimo giorno di campagna elettorale Silvio Berlusconi annunciò l’abolizione della tassa sulla prima casa. Quella misura valeva quattro miliardi, i bonus edilizi hanno impattato per 219». Ieri davanti ai vertici di Confcommercio Fazzolari ricordava la promessa del Cavaliere durante un dibattito televisivo con Romani Prodi nel 2006, e che rifece dopo la caduta di un governo di emergenza, quello di Mario Monti. Ad abolire l’Imu ci riuscì poi Matteo Renzi, ma questa ormai è storia. Ricordare il passato serve però a capire quanto è cambiato il mondo da allora: invece di fare promesse roboanti, questa volta in piena campagna elettorale Fazzolari ammette che non è più il tempo delle promesse facili. La stretta imposta questa settimana dal Tesoro alla voragine aperta dal perverso meccanismo dei crediti fiscali dei bonus è l’inizio della fase due del governo Meloni.

Dal 10 giugno in poi la maggioranza di centrodestra avrà davanti a sé mesi complicatissimi. Dopo due anni di tagli fiscali concessi all’elettorato di riferimento e di tagli alla spesa sociale – in primis il reddito di cittadinanza – la coperta si è fatta cortissima. Entro l’autunno c’è da trovare almeno venti miliardi di euro, pena l’aumento delle tasse per i redditi medio-bassi, quelli che hanno beneficiato fin qui della decontribuzione e dell’accorpamento delle prime due aliquote Irpef. E poiché di margini per tagliare la spesa ce ne sono pochissimi, a Palazzo Chigi e al Tesoro si pensa a come aumentare il gettito fiscale.

I segnali dell’inversione di tendenza sono molti. Il primo è l’ipotesi di un taglio secco alle agevolazioni fiscali, un contenitore di piccoli e grandi risparmi garantiti per decenni a chiunque: dalle famiglie all’autotrasporto, dagli amanti degli animali agli sportivi. Il primo passo è stato fatto con la scorsa Finanziaria che ha rivisto alcuni limiti di reddito. In autunno occorrerà fare di più. Un altro indizio l’ha lasciato qualche giorno fa Giancarlo Giorgetti a proposito delle tasse sulle auto. Fin qui il peso del fisco è stato caricato sulle spalle di chi possiede mezzi a combustione, ma che fare se nel frattempo cresce il numero di quelli a trazione elettrica, magari di produzione cinese? «Non si tratterà necessariamente di una riduzione del gettito, ma di una sua significativa traslazione», dice Giorgetti. Qualunque cosa voglia dire, si intuisce che in futuro anche quel settore dovrà pagare tasse più alte. Per capire la dimensione del problema: l’Italia incassa ogni anno dai carburanti per autotrazione più di 25 miliardi di euro, il terzo gettito d’Europa dopo Germania e Francia.

A complicare la vita del governo Meloni c’è poi la variabile europea. Qualunque sarà l’esito delle elezioni e le scelte della premier sulle alleanze, in autunno ci sarà da fare i conti con l’entrata in vigore del nuovo Patto di stabilità che costerà all’Italia una correzione dei conti non inferiore agli otto miliardi. Sul tavolo di Palazzo Chigi ci sono nel frattempo da risolvere almeno due grane con Bruxelles: quella sulle concessioni del balneari e l’assegno unico ai lavoratori comunitari, fin qui negato a chi non è residente da anni. «Combatteremo contro questa assurda procedura di infrazione», diceva ieri Fazzolari. Per evitare ulteriori tensioni con l’Unione, il governo spinge intanto sull’attuazione del Recovery Plan e le privatizzazioni. Il primo garantisce gli investimenti necessari a sostenere la crescita, la vendita di pezzi delle aziende pubbliche permette di fare cassa e rispettare un impegno importante anche agli occhi dei mercati, preoccupati dall’aumento del debito. Fin qui sono arrivate in fondo la cessione di due pacchetti di azioni del Monte dei Paschi e una quota dell’Eni. A breve sarà il turno di Poste e Ferrovie.


 

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