In questo numero di Agrifood Magazine, realizzato in collaborazione con Italpress: 1) L’export trascina l’agroalimentare parmense; 2) Mediterranea, nasce la filiera del pomodoro da industria; 3) Le imprese agricole investono in innovazione e sostenibilità; 4) Grano, crolla la produzione
In questo numero di Agrifood Magazine, realizzato in collaborazione con Italpress:
1) L’export trascina l’agroalimentare parmense: L’export trascina l’agroalimentare parmense, con una crescita del 61% rispetto al periodo pre-Covid, all’interno di un settore che secondo i dati Istat più aggiornati registra un fatturato annuo superiore agli 8,2 miliardi di euro, ovvero il 36% dell’intera produzione industriale della città. Sono i principali numeri emersi durante il convegno “L’agroalimentare parmense: risultati economici e iniziative delle diverse filiere per la valorizzazione del territorio” organizzato a Cibus dalla Fondazione Parma UNESCO Creative City of Gastronomy. All’interno della Fondazione, sono racchiuse 6 filiere di eccellenze presenti sul territorio, tra cui Parmigiano Reggiano.
2) Mediterranea, nasce la filiera del pomodoro da industria: Unione Italiana Food – tra le maggiori associazioni di rappresentanza dell’alimentare in Europa con oltre 900 marchi che finiscono sulle tavole di tutto il mondo – e Confagricoltura – la più antica organizzazione che rappresenta il 45% della produzione agricola nazionale – siglano un’alleanza che unisce mondo della trasformazione industriale e settore primario, mettendo al centro il modello mediterraneo e le sue filiere.
Nasce così l’associazione Mediterranea, una compagine che esprime un valore di 106 miliardi di euro (56 miliardi per l’industria e 49,2 miliardi per la parte agricola, incluso il valore aggiunto) e offre lavoro a oltre 650mila addetti, coinvolgendo 2/3 delle imprese agricole italiane.
3) Le imprese agricole investono in innovazione e sostenibilità: L’agricoltura italiana è sempre più protagonista nel processo di transizione ecologica. Negli ultimi 24 mesi, ben 7 imprese su 10 (il 69,5%) hanno effettuato investimenti in innovazione, puntando soprattutto su nuove tecnologie e tecniche agricole d’avanguardia. L’innovazione, si conferma il fattore che più di ogni altro permette di gestire la transizione ecologica, mitigare i rischi e migliorare l’impatto sociale e ambientale, come dimostra il fatto che le aziende più innovative sono il 78,9% di quelle col maggior livello di sostenibilità. È quanto emerge dalla quarta edizione di AGRIcoltura100, il progetto di Reale Mutua e Confagricoltura per promuovere il contributo dell’agricoltura alla crescita sostenibile del Paese. Secondo il Rapporto, oggi il 55,3% delle aziende presenta un livello elevato di sostenibilità, in aumento sia sul 2023 sia sul 2020, dove la quota era del 48,8%; diminuiscono al contempo le realtà al livello base, passate dal 20% di quattro anni fa al 12,1% di oggi. I dati sottolineano inoltre, che la cultura della sostenibilità è largamente radicata nelle aziende. Il primo valore che le attribuiscono è quello di accrescere la qualità del prodotto, anche a garanzia della salute dei consumatori, ritenuta fondamentale o molto importante dall’85,7%. Al secondo posto tra i valori di sostenibilità si colloca l’impegno per l’ambiente (76,3%); seguono le relazioni con la filiera (70,1%), la valorizzazione della comunità locale (67,4%), l’investimento in innovazione (67,1%) e la consapevolezza del ruolo sociale dell’impresa verso i lavoratori e la comunità (65,8%), valore quest’ultimo in crescita di oltre 5 punti percentuali rispetto al 2022.
4) Grano, crolla la produzione: La produzione di grano duro scenderà quest’anno sotto i 3,5 milioni di tonnellate, rischiando di essere ricordata come la più bassa degli ultimi 10 anni. È la prima stima a un mese dal via alla trebbiatura diffusa da Coldiretti e Cai – Consorzi Agrari d’Italia. Le cause di questo crollo vanno ricercate nella riduzione delle superfici coltivate a causa della concorrenza sleale di prodotto straniero e della siccità che ha colpito le regioni del Sud Italia. Le superfici coltivate rispetto all’anno precedente, fanno sapere Coldiretti e Cai, scendono sotto 1,2 milioni di ettari, con punte del 17% nelle aree del Centro Sud, da dove viene circa il 90% del raccolto. A far crollare i prezzi è innanzitutto la concorrenza sleale: nel 2023 sono arrivati quasi 900 milioni di chili di grano russo e turco, un’invasione che si aggiunge al quello canadese per oltre 1 miliardo di chili. Una drammatica situazione a cui si aggiungono gli effetti del clima, con la siccità che ha ridotto la produzione di grano duro in Puglia con cali tra il 20 e il 30%, mentre in alcune aree della Sicilia si arriva a -70%. Ed è proprio per far fronte alle oscillazioni dei prezzi di mercato e tutelare gli agricoltori, che Consorzi Agrari d’Italia ha messo in campo contratti di filiera per 12 produzioni, di cui 4 relative al frumento che per Cai rappresenta oltre il 50% del volume.
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